superare l'idolatria
dell'obbedientismo
deresponsabilizzante
LIBERI E FEDELI IN CRISTO
Cristo ci ha liberati
perché restassimo liberi
(Gal 5,1)
Bernhard Häring
Liberi e fedeli in Cristo
«L’uomo può essere libero solo in
quanto è un adoratore, cioè in
quanto trova la sua pace e la sua
dimora in Dio. In contrasto con le
religioni pagane, la storia biblica
della creazione è una parola
liberante. Il credente in Jahve non
conosce tabù: può disporre
liberamente di ogni cosa. Un solo
limite assoluto: la dignità, davanti
a Dio, di ciascuna e di tutte le
persone».
[Padre Bernhard
Häring, “Liberi e fedeli in
Cristo”, Edizioni Paoline 1987, Vol
1, pag. 21].
«Ma ciò che determinò una svolta nel
mio pensiero sulla teologia morale
fu l’obbedienza stupida e criminale
di tanti cristiani nei confronti
della tirannide e della malvagità
nazista. Fu questo a portarmi alla
convinzione che il carattere di un
cristiano non deve essere formato
unilateralmente dal leitmotiv
dell’obbedienza, ma piuttosto dalle
responsabilità che sa discernere,
dalla capacità di rispondere
coraggiosamente alle percezioni di
nuovi valori e di nuovi bisogni e
dalla disponibilità ad assumere il
rischio».
[Padre Bernhard
Häring, “Liberi e fedeli in
Cristo”, Edizioni Paoline 1987, Vol
1, pag. 12].
Lorenzo Milani
Comparetti
L’obbedienza non è più una virtù
«Nel 1898 il Re “Buono” onorò della
Gran Croce Militare il generale Bava
Beccaris per i suoi meriti in un
guerra che è bene ricordare.
L’avversario era la folla di
mendicanti che aspettava la minestra
davanti a un convento di Milano. Il
Generale li prese a colpi di cannone
e di mortaio solo perché i ricchi
(allora come oggi) esigevano il
privilegio di non pagare tasse.
Volevano sostituire la tassa sulla
polenta con qualcosa di peggio per i
poveri e di meglio per loro. Ebbero
quel che volevano. I morti furono
80, i feriti innumerevoli. Fra i
soldati non ci fu né un ferito né un
obiettore. Finito il servizio
militare tornarono a casa a mangiare
polenta. Poca perché era rincarata.
Eppure gli ufficiali seguitarono a
farli gridare “Savoia” anche quando
li portarono ad aggredire due volte
(1896 e 1935) un popolo pacifico e
lontano che certo non minacciava i
confini della nostra Patria. Era
l’unico popolo nero che non fosse
ancora appestato dalla peste del
colonialismo europeo».
(Don Lorenzo Milani
Comparetti, “L’obbedienza
non è più una virtù”, Documenti del
processo a Don Milani, Libreria
Editrice Fiorentina, 1965).
«Anche la Patria è una creatura cioè
qualcosa di meno di Dio, cioè un
idolo se la si adora. Io penso che
non si può dar la vita per qualcosa
di meno di Dio. Ma se anche si
dovesse concedere che si può dar la
vita per l’idolo buono (la Patria),
certo non si potrà concedere che si
possa dar la vita per l’idolo
cattivo (la speculazione degli
industriali) ».
(Don Lorenzo Milani
Comparetti, “L’obbedienza
non è più una virtù”, Documenti del
processo a Don Milani, Libreria
Editrice Fiorentina, 1965).
«A dar retta ai teorici
dell’obbedienza e a certi tribunali
tedeschi, dell’assassinio di sei
milioni di ebrei risponderà solo
Hitler. Ma Hitler era irresponsabile
perché pazzo. Dunque quel delitto
non è mai avvenuto perché non ha
autore.
C’è un modo solo per uscire da
questo macabro gioco di parole.
Avere il coraggio di dire ai giovani
che essi sono tutti sovrani, per cui
l’obbedienza non è ormai più una
virtù, ma la più subdola delle
tentazioni, che non credano di
potersene far scudo né davanti agli
uomini né davanti a Dio, che bisogna
che si sentano ognuno l’unico
responsabile di tutto.
A questo patto l’umanità potrà dire
di aver avuto in questo secolo un
progresso morale parallelo e
proporzionale al suo progresso
tecnico».
[Don Lorenzo Milani
Comparetti, “L’obbedienza
non è più una virtù”,
Documenti del
processo a Don Milani, Libreria
Editrice Fiorentina, 1965].
[Scheda pubblicata su facebook il
7/01/2011].
Integrazione aggiunta in data
18/7/2013:
Enzo Mazzi
CRISTIANESIMO RIBELLE
I cattolici dell'associazionismo
progressista fanno propri i temi dei movimenti dal basso portando talvolta la
radicalità e la forza dell'ispirazione evangelica. Questo come dicevo è molto
positivo. Può essere un crinale storico.
Di fronte al "sacro potere della
chiavi" vale il principio che l'obbedienza non è più una virtù?
Ma questo apre
anche a compiti nuovi. Perché il ruolo dei cattolici nei movimenti non può
limitarsi ad essere una voce in più. Hanno un compito specifico specialmente
nell'era dei fondamentalismi. Se è vero che la pace è cultura e sistema
complessivo, allora bisogna che ognuno faccia la sua parte nella trasformazione
lavorando nell'ambito religioso ed ecclesiale. Non possono far mancare il loro
impegno in tale ambito.
Apro qui una
riflessione critica in senso costruttivo sulla linea strategica della cultura di
pace e nonviolenza come rivoluzione.
I cattolici dei
"segni dei tempi" rifuggono per lo più dall'usare gli strumenti critici di
trasformazione culturale, economica e politica della società nell'ambito proprio
della loro appartenenza religiosa ed ecclesiale.
Un esempio
eclatante è il messaggio di don Milani: "l'obbedienza non è più una virtù"
secondo il priore di Barbiana vale per tutti gli ambiti laici ma non per
l'ambito religioso ed ecclesiale. Si deve disubbidire agli ordini ingiusti di
tutti i poteri meno che di quello ecclesiastico. Di fronte al "potere delle
chiavi" non c'é disubbidienza che tenga. Altrimenti -egli diceva- chi mi assolve
dal mio peccato?
Di fronte al
sacro molti cattolici si bloccano. E così fanno mancare al cammino umano proprio
il contributo specifico di persone "credenti", cioè di persone inserite
nell'apparato simbolico religioso che sostiene quegli automatismi psicologici
inconsci i quali sono all'origine di quella stessa violenza e ingiustizia contro
cui si trovano a combattere.
[...]
La gran parte dei cattolici che
partecipa al movimento pacifista ha capito e acquisito ormai lo spirito profondo
della nonviolenza e quindi avverte il bisogno di superare la dipendenza
strutturale, chiave di ogni violenza, e di tendere all'autonomia e alla
responsabilità delle relazioni, chiave della nonviolenza. E, come i donatisti,
non si fermano all'autonomia nel campo politico, etico e sociale.
Vogliono una
Chiesa "altra". La trasformazione profonda in senso nonviolento di tutte le
strutture religiose, nessuna esclusa, simbologie, dogmi, ordinamenti, strutture
di potere, è il traguardo che sta loro davanti.
[...]
La risposta della teologia della
liberazione compie un percorso idealmente rivoluzionario. Rovescia la
prospettiva che incentra su Dio-Assoluto-Onnipotente tutto il potere. Per la
teologia della liberazione è l'essere umano nel quale l'umanità è più nuda,
"l'ultimo" come si dice, il centro della storia e della vita. In questa
prospettiva non è la sofferenza, non è il sacrificio che salva la società, ma
l'impegno storico e la lotta pacifica (oggettivamente pacifica perché l'ultimo
non ha armi, ha solo la propria nuda umanità).
[...]
È la vita di Gesù, i valori per cui
lui ha vissuto, che dà significato alla sua morte. È nella sua vita mortale e
limitata la salvezza, come nella vita di tutti noi. Non nella sofferenza e nella
morte considerate in sé come qualcosa di separato dalla vita, come una punizione
per il peccato. La vita non è il mezzo per poter soffrire e morire e pagare così
il prezzo del peccato alla giustizia infinita e infinitamente esigente di Dio.
La vita e la morte sono una cosa sola. E la morte è immersione della vita nel
mare della vita. E chi vuol chiamare in causa Dio -la cosa ci riguarda- sarebbe
bene che tenesse conto di ciò che dice lo stesso Vangelo: "è Dio dei viventi,
non dei morti".
[...]
Se invece la
resurrezione di Cristo è una tappa, un momento per quanto originale, della
incessante ricerca umana e per chi vuole divina, allora può essere rimessa in
gioco, può rientrare nella capacità di comprensione e di accoglimento delle
coscienze attuali, può tornare ad avere un senso per il dramma umano perenne di
vita-morte, anzi di vita che perennemente rinasce, di amore che costantemente si
rigenera e si riscatta da ogni violenta aggressione.
Raffaele Paolo Coluccia
E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei il più piccolo capoluogo di
Giuda:
da te uscirà infatti un capo
che pascerà il mio popolo, Israele.
[Matteo 2, 6; Michea 5, 1]
Il male satanico, a cui collaborano
gli schiavisti, sfruttatori e gli oppressori ed a cui partecipano molte specie
di profittatori, (a partire dai cultori dell'odio e dai falsi rivoluzionari,
ladri ed assassini), costituisce la causa dell'ingiusta sofferenza e della croce
a cui sono sottoposti i giusti di tutte le epoche e di tutte le latitudini.
La risposta di Dio a questa
malvagità è stata espressa da Cristo nella sua vita, nella sua sofferenza, nella
sua morte violenta, nella sua resurrezione. La medesima risposta possono esprime
anche i giusti che si impegnano, in tutte le epoche ed in tutte le latitudini,
per l'affermazione delle ragioni della vita, della pace e dell'armonia con Dio e
con gli altri. Nei confronti della lotta e della sofferenza vissute da questi
giusti si esprime la vicinanza e la solidarietà del Dio cristiano, malgrado il
tentativo dei ladri e degli assassini istituzionali di occultare e controvertire
l'espressione di tale solidarietà divina.
[Raffaele Coluccia, www.CIVL.it - www.FIVL.net]